Saggistica:

Il Lievito delle “famiglie”

Il Lievito delle "Famiglie"

dal Mitis Iudex Dominus Iesus al progetto di pastorale di una comunità.

Introduzione

La figura del consulente matrimoniale e familiare, proposto dalla nostra Facoltà di Teologia per il conseguimento del Diploma accademico per consulenti matrimoniali e familiari, risponde alle nuove esigenze manifestate dai Motu proprio di papa Francesco: Mitis Iudex Dominus Iesus, circa la riforma dei processi canonici per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio. Per applicare in campo educativo universitario queste istanze, pertanto, la Congregazione per l’Educazione Cattolica, nella sua competenza sulle Istituzioni accademiche per gli studi ecclesiastici, per rispondere alle nuove esigenze, soprattutto per la formazione dei consulenti del secondo livello, ha reso possibile istituire presso le Facoltà di Teologia un Dipartimento di Diritto Canonico, secondo alcune norme indicate nella Istruzione. Oltre ai Consulenti di primo livello: parroci e altri in ambito, l’Istruzione prevede il nostro Diploma di secondo livello, finalizzato appunto alla formazione di Consulenti di secondo livello: collaboratori di una struttura stabile. Per questo scopo, oltre ai corsi canonici specifici, sono previsti corsi dedicati allo studio dei principi della Teologia Matrimoniale e Familiare, Teologia Morale familiare, Spiritualità coniugale e Teologia pastorale e corsi dedicati allo studio dei principi della psicologia sessuale e familiare, fondata sull’antropologia cristiana. Le famiglie e le coppie sono state sempre soggetti della cura pastorale della Chiesa ma nonostante l’impegno profuso, negli ultimi decenni la coppia matrimoniale ha subito sempre di più un processo degenerativo arrivando ad un momento di grande crisi ed instabilità. Un profondo lavoro di ascolto delle famiglie è stato operato dalla chiesa in questi anni e non ultimi i Sinodi del 2014 e del 2015. Gli esaurienti rapporti conseguenti hanno disegnato un quadro preoccupante della situazione. La famiglia, come ricorda Papa Francesco «è molto più che un “tema”: «è vita, è vissuto quotidiano, è cammino di generazioni che si trasmettono la fede insieme con la fede, insieme con l’amore e con i valori fondamentali, è solidarietà concreta, fatica, pazienza, e anche progetto speranza, futuro»

Il Cardinale Walter Kasper nel documento introduttivo al concistoro straordinario sulla famiglia nel febbraio 2014 scrive: «Dobbiamo però essere onesti e ammettere che tra la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia e le convinzioni vissute di molti cristiani si è creato un abisso.

«L’insegnamento della Chiesa appare, anche a molti cristiani, lontano dalla realtà e dalla vita. Però possiamo anche dire – e possiamo dirlo con gioia – che ci sono anche ottime famiglie, che fanno del loro meglio per vivere la fede della Chiesa e che danno testimonianza della bellezza e della gioia della fede vissuta in seno alla famiglia. Spesso sono una minoranza, ma sono una minoranza significativa.[1]

«La famiglia alla quale si fa riferimento, per essere speranza e futuro della società, non può essere che quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna (famiglia naturale), il che non vuol dire non prestare la necessaria attenzione a tutte le trasformazioni del paradigma familiare che la società postmoderna sta generando, ma, nello stesso tempo, senza perdere di vista che la famiglia naturale è stata elevata a sacramento matrimoniale da Gesù Cristo »[2]

Queste tematiche hanno sollecitano intensamente l’intimo impegno profuso nella mia missione ministeriale di diacono permanente e quindi ho voluto percorrere un cammino di riflessione sui vari temi legati alla coppia e alla famiglia per sperimentare eventuali progetti pedagogici, di fede, di spiritualità per applicare al meglio l’attenzione e l’impegno che la Chiesa dedica alle famiglie.

 

Dove Siamo

È sempre affascinante guardare al quel cerchio scuro sulla cartina della metropolitana che ci indica dove siamo, informazione fondamentale perché se mancante non saremmo capace di iniziare nessun cammino. Guardare a quella informazione fondante in questo elaborato è fondamentale perché permette di valutare ogni percorso, di attrezzare ogni tappa, di concentrarsi sul necessario, di coscienziosamente occuparsi di fare tutto il necessario per raggiungere la meta. Ci permette di comprendere cosa sia la umanità (Noi) nel progetto di Dio. Ci rende capaci di vedere noi stessi e tutti gli esseri umani con gli occhi creatori e ricreatori di Dio, uno sguardo che «non porta una pace che toglie i problemi di fuori, ma una pace che infonde fiducia dentro» Papa Francesco in una sua omelia sulla Divina Misericordia:

«Francesco ci offre un’immagine che ben può chiarire la nostra posizione di fedeli misericordiati, capaci quindi di misericordia, capaci di quell’amore di Dio che non condanna, non umilia ma ha estrema fiducia della sua creatura. Papa Francesco citando il cardinale Newman spiega come Dio ci ama più di quanto noi amiamo noi stessi. Insieme alla capacità di amare, come Dio, abbiamo ricevuto la memoria, affinché ci ricordassimo dei beni ricevuti, siamo stati graziati di intelligenza affinché vedessimo e conoscessimo la Sua bontà, partecipando così della sapienza del suo Figlio; ci ha dotato di volontà affinché potessimo amare ciò che la ragione aveva veduto e conosciuto della Sua verità, divenendo partecipe della clemenza dello Spirito Santo. Quindi diventa essenziale conoscere il nostro “io sono qui” in una società che restringe sempre di più l’orizzonte di senso alle sole realtà materiali, che rinchiude il valore dell’uomo nel successo, nella gratificazione di sé e nell’apparire, capire dove siamo, chi siamo ci riporta all’essenziale, alla creaturalità dell’essere umano; è uno sguardo di fede in Dio, che diventa anche fede nell’uomo, in ogni uomo creatura epicletica ad immagine trinitaria; uno sguardo di fede che porta ad uscire da sé e ad andare incontro ad ogni ‘altro’ che incrociamo nelle nostre giornate. Concentrati sulla nostra creaturalità consapevoli delle proprie specifiche caratteristiche di fragilità e peccato possiamo essere più attenti al rinnovamento delle relazioni con le famiglie della comunità. La visita di Gesù, ormai risorto, ai suoi discepoli ha come scopo il risveglio dei discepoli dal torpore della delusione di un messia mortificato e morto in croce. Gesù donando lo Spirito Santo dona anche la pace, a noi, sue creature ma soprattutto ci offre a riscatto le Sue “piaghe” quelle che ci guariscono [3]. Dal confronto di quelle piaghe con le nostre possiamo capire se la nostra è una fede in “percentuale minoritaria” rispetto alla nostra umanità, che riceve ma non dà, che accoglie il dono ma non riesce a farsi dono. Come ha detto più volte papa Francesco, solo se siamo coscienti di aver ricevuto misericordia, di essere continuamente bisognosi di misericordia, potremo essere a nostra volta misericordiosi nei confronti di chi incontriamo; sapremo avere quello sguardo buono che solleva; sapremo essere fratelli, sorelle.

 Dove possiamo andare

Il tema di questa piccola ricerca ha come titolo Il Lievito delle Famiglie; la mia particolare considerazione delle coppie matrimoniali, delle famiglie con figli e delle famiglie costituite con nonni e nipoti come una risorsa per la chiesa, per la comunità, la società. Da solo il lievito non è buono e la farina da sola rimane dura. Ma se il lievito si diffonde tra la farina, ha la capacità di farla gonfiare. Quindi se ogni famiglia smettesse di guardare solo a se stessa, concentrata unicamente sui propri problemi e sulle proprie necessità, ma si considerasse lievito nella pasta del mondo e si aprisse alle altre famiglie, nel confronto si scoprirebbe meno sola e nella condivisione più ricca. Gli antichi erano consapevoli che qualcosa in esso era vivo, riproduceva e moltiplicava. Il lievito non cresce, esso permea e, nonostante la piccola quantità utilizzata, il suo effetto è inevitabile: mescolato alla farina, la fa fermentare tutta. L’influenza del lievito in una pagnotta non si può percepire subito, bisogna accendere la luce nel forno o mettere l’impasto al caldo e attendere che aumenti di volume, per poi essere cotto e diventare commestibile. Come a dire che l’importante è concentrare l’attenzione non tanto sul risultato finale, ma sul processo di lievitazione. Insegnare a intendere alle famiglie di essere Lievito li mette in movimento, ci regala il profumo e la bontà di un cammino vero e bello, che ci mette in discussione come singoli e come famiglia, che non ci fa sentire arrivati, ma ci fa riscoprire chi siamo veramente e a cosa siamo chiamati. Il lievito opera con discrezione. Una volta mescolato nella farina, non è più visibile, si nasconde nella pasta e silenziosamente la fa lievitare. Il lievito ci insegna l’umiltà. Si tratta di imparare ad avere il coraggio di mescolarci, così come fa il lievito con la farina.

Perché partiamo dal Diritto

Il significato principale della giustizia nella Bibbia discende direttamente dall’Alleanza che Dio vuole a tutti i costi mantenere con l’umanità ed è questa l’aspettativa reale dell’uomo e nel quale la misericordia ha significato. È la misericordia di Dio che provoca la conversione dell’uomo e lo rende capace di vivere secondo le esigenze epistemologiche della Alleanza ci trasforma da peccatori a giusti non dinamica continuità Gesù annuncia una nuova alleanza nel nome del Padre che è la più grande promessa di misericordia che si possa fare. Quando applichiamo il principio della misericordia alla giustizia, non si sta negando la sua verità, ma si offre piuttosto il senso di una sovrabbondanza di amore che rigenera, rinnova, ravviva il patto di Alleanza, che riconcilia gratuitamente la persona e la rende capace vivere in comunione con Dio. La questione dei fedeli divorziati e risposati e delle loro sofferenze, tema sul quale la Chiesa sta ancora esplorando con concretezza, merita la attenzione del giurista poiché la storia processuale canonica sempre nota per pazienza e saggezza è sempre stata attenta all’esigenze della economia processuale protesa alla tutela della verità e dell’indissolubilità del matrimonio, sia del proprio munus ecclesiale[4]. La lettera apostolica Mitis Iudex Dominus Iesus ha provocato inizialmente molte critiche in quanto la promulgazione della riforma ha dato luogo ad una sequela di interpretazioni molto controverse che hanno richiesto prima alcuni interventi del Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi e, successivamente, un nuovo diretto intervento normativo del Pontefice con l’emanazione del Rescritto ex Audenzia del 7 dicembre 2015. Pertanto ogni cristiano, come difensore naturale della dottrina non debba tanto difendere la “lettera” ma lo spirito, non tanto l’idea dell’uomo ma l’uomo stesso, non le formule ed i rituali ma l’amore espresso nella sua infinita gratuità di Dio e del suo perdono, magnificare che non ci tratta secondo i nostri meriti ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia[5]. L’intento della lettera è quello di invitarci ad avere una maggiore prossimità verso i fratelli che vivono in difficoltà avendo come guida la legge suprema della «salus animarum» che rimane lo scopo ultimo della dottrina, dei canoni, e delle istituzioni. Il nostro dovere, Papa Francesco ci ricorda nell’Esortazione Post-sinodale  Amoris laetitia, è quello di assumere atteggiamenti di accompagnamento di discernimento e volontà di inclusione della fragilità di quei fedeli che hanno visto demolito il loro matrimonio e che oggi sono davvero tanti. E per quanto ci riguarda incoraggiare la formazione e la pedagogia delle coscienze [6] proponendosi un percorso spirituale di maggiore fiducia nella grazia. [7] Per fare questo ogni comunità è invitata a compiere un avventuroso cammino di conversione di tutta la propria pastorale, delle modalità di prossimità e di annuncio del Vangelo.

 

 

L’amore di Dio custodito nella Coppia matrimoniale

La prima volta dove l’amore di Dio viene rivelato è nel libro della Genesi, nelle fasi finali della creazione dove Dio in maniera benevola, magnanima, senza interesse, senza compiacersi, con amorevole orgoglio di padre, genera la coppia umana a sua somiglianza ed anche quando questa coppia cade nel peccato nell’offesa non manca di rispetto. Nell’inno alla carità di 1Cor 13, troviamo questa descrizione di un amore che è il fondamento di quella straordinaria forza che unisce un maschio ed una femmina a tutte le latitudini e in tutte culture. «La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine.» [8]. Un segno visibile che porta l’immagine della realtà invisibile del Dio creatore. L’umanità avrebbe atteso millenni per poter avere di nuovo un segno visibile dell’amore. Dio Padre offre il Suo unico Figlio come sacrificio per amore delle sue creature. Una dinamica di trasformazione, di miglioramento che mancanza della quale non potremmo chiamarla amore. L’universo emotivo umano non è preciso come quello matematico. Gli esseri umani sono caratterizzati da ambiguità, contraddizioni e imprecisioni. Non è raro provare sentimenti che confondiamo con l’amore, sebbene siano molto diversi. L’amore racchiude in sé diverse sfaccettature emotive che possono sfociare in un secondo momento in sensazioni di disamore e perfino di odio. Nessuno ama un’altra persona in ogni suo aspetto. In realtà, ciò che ci lega agli altri è spesso una sorta di affetto primordiale. Capita di convincersi di provare amore verso un’altra persona, quando in realtà non è davvero così. Succede perché ci sono diversi sentimenti che confondiamo con l’amore. Sentimenti simili, sì, ma con radici ben diverse. La gratitudine può essere facilmente confusa con l’amore, tutto ciò produce in noi gratitudine nel desiderio di corrispondere l’affetto. Possiamo dire che l’innamoramento è una combinazione di tantissimi fattori, così tanti che sembra un mistero. Solo l’amore di Dio è il comune denominatore di una azione che è quello di amare. La coppia umana quindi può essere considerata una realtà che contiene il “germoplasma” dell’amore-azione di Dio eredità inestimabile che si esprime nell’Eucaristia, il “cibo umile” con cui il Signore imprime nel nostro cuore la certezza di essere amati, memoriale vivo e non astratto del Suo amore, è il sacramento che iscrive nel nostro “DNA spirituale”, l’aspirazione all’unità con il creatore. Nella coppia il materiale ereditario, trasmesso all’umanità mediante le cellule germinali, in grado di permettere di preservare in modo diretto a livello genetico e di specie l’amore di Dio che va protetto ed evocato, collocato nel alveo di una esistenza di continua comunione ed incontro.

Amare come Gesù

È l’amore di Dio che dà vitalità alla nostra vita. senza l’amore di Dio donato incessantemente in Cristo Gesù nello Spirito Santo, l’uomo sarebbe spento e il suo vivere sarebbe un senso senza un significato. Gesù ha insegnato ad amare come Egli ha amato e non ha esitato a chiedere di essere «seguito», «amato» più d’ogni altra persona, anche a costo di spezzare i legami più sacri (cfr. Lc 14,26). Anche prima di Cristo l’amare Dio e l’amare il prossimo erano considerati due comandamenti legati nel senso che amando gli altri che noi amiamo Dio. Gesù stesso vuole che noi impariamo a riconoscerlo anche nel volto del fratello più povero, perfino nel volto del nemico. E da questa visione che, l’altro nella coppia, deve diventare per l’altro una «via a Dio»: deve in qualche modo svelargli il volto di Dio. Gesù aggiunge un’altra e più fondamentale relazione: ci insegna che che nella via dell’amore c’è sempre una provenienza, un’accoglienza e un avvenire. La provenienza è l’uscire da sé nella generosità del dono, per la sola gioia di amare: l’amore nasce dalla gratuità o non è. L’accoglienza è il riconoscimento grato dell’altro, la gioia e l’umiltà del lasciarsi amare. L’avvenire è il dono che si fa accoglienza e l’accoglienza che si fa dono, l’essere liberi da sé per essere uno con l’altro e nell’altro, in una comunione reciproca e aperta agli altri, che è libertà. Quando un essere umano entra consapevolmente e coscientemente in questa relazione, e quando riesce a vivere questo rapporto in maniera approfondita e vissuta, come appartenenza totale: «non io vivo, ma Lui vive in me»), allora accade una straordinaria trasformazione: Gesù diventa mediatore ed è Lui che rivela all’uomo l’altro da noi, il prossimo, il/la compagno/a di vita. Cristo ci presenta l’altro donandosi la certezza che lui/lei è degno di un legame indissolubile, nonostante la sua povertà, nonostante le sue fragilità, nonostante il suo peccato, diviene degno di devozione e di infinito rispetto. Solo riconoscendo questa relazione mediata di Cristo, l’altro da me non sarà mai né sfruttato, né totalmente posseduto; invitandoci a custodirlo in una singolare individualità non in una fusione. In Cristo mi dono all’altro attraverso una rivelazione e attraverso una continua redenzione a Lui, Gesù figlio di Dio, che personalmente ama. Gli sposi che si amano, che si scelgono e si offrono reciprocamente la vita, sanno ormai nella irripetibilità e unicità delle loro persone – che Dio è l’Amore e che il loro singolo cuore tende irresistibilmente verso di Lui ed è in questa verità che essi stessi diventano «sacramento»

Spiritualità

La spiritualità cristiana, che si vuole applicare agli sposi, è connotata dall’attenzione e dall’adesione a Cristo. Mi riferisco alla spiritualità neotestamentaria che fin dalle origini, ha definito spirituale sempre l’azione dello Spirito Santo nell’uomo. La spiritualità non va confusa con gli innumerevoli, ammirevoli e generosi sforzi di cui l’umanità ha sempre dato testimonianza, per trascendere il dato materiale, e sviluppare le potenzialità dello spirito umana per la realizzazione di una fratellanza universale, e interventi a favore di chi soffre, o quando si valorizzano le facoltà superiori delle persone e dei popoli, mediante l’arte, la musica, la cultura in genere. La spiritualità cristiana ha alcune caratteristiche peculiari e proprie, che consentono di non confonderla con questo pur meraviglioso e diffuso impegno. La spiritualità cristiana è vita secondo lo Spirito, è spiritualità di risposta e non di iniziativa: non è l’uomo che si sforza di andare a Dio, ma è Dio che si piega sull’uomo mettendogli a disposizione lo Spirito di Cristo: «O voi tutti assetati venite all’acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte.» (cfr. Is 55,1), dice il Signore. Tutti possiamo essere santi: in Cristo, Dio ha preso l’iniziativa di colmare l’abisso di divisione tra Lui e l’uomo e di mettersi alla nostra portata. Il cristiano non deve fare sforzi e non deve inventare la propria spiritualità, nella Bibbia, che narra una storia, incarnata prima in un popolo e poi, nella pienezza dei tempi, in una persona: Gesù. È una storia d’amore che insegna quali siano le strade e le dinamiche attraverso le quali porre la propria vita in relazione con il trascendente: sono le strade dell’ascolto e della risposta alla chiamata. Allora il cristiano che vuole vivere secondo un disegno spirituale, si pone in ascolto e allo studio della Parola, per essere in grado di interpretarne le logiche, al di là della veste culturale attraverso la quale giunge a lui da secoli: in questo modo eviterà le applicazioni ingenue e affrettate, le letture riduttive o fondamentaliste, saprà trarre da essa le linee basilari del proprio impegno e le logiche sulle quali impostare la propria vita. La Parola di Dio non giunge al cristiano solo attraverso le parole scritte nella Bibbia, ma anche, e in modo conseguente e privilegiato, attraverso la vita di Gesù di Nazareth, che è insieme figlio di Dio e figlio dell’uomo: questa sorprendente incarnazione rende estremamente più vicino Dio all’uomo ma anche più comprensibile, più attuabile la Parola. In Cristo, Dio rivela se stesso all’uomo e l’uomo a se stesso: da Cristo si può desumere la pienezza della sapienza e della spiritualità umana. Cristo non è un personaggio storico del passato, da venerare e da ricordare, è una presenza attuale e efficace nella chiesa, la comunità raccolta nel suo nome e resa viva dal suo Spirito. La spiritualità cristiana è quindi biblica, perché si ispira alla Parola e si nutre di essa, cristologica, perché non si accontenta della Parola scritta, ma fa riferimento alla Parola vivente, al Verbo che «si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi» (cfr. Gv 1), ecclesiale, perché lo Spirito presente nella Chiesa la abilita a compiere gesti che rinnovano, fanno memoria, rendono presente e attuale il sacrificio pasquale di Cristo: i sacramenti. Come per Cristo, così per ogni cristiano la spiritualità non è evasione: è al contrario compromissione totale con la propria chiamata e con il destino dell’umanità. In questo senso la spiritualità è sempre nuova e sempre creativa, perché chiede di incarnare le logiche che hanno guidato la vita di Cristo nell’attualità, nelle situazioni concrete della vita, secondo le esigenze della cultura, del territorio in cui l’uomo vive. Possiamo parlare di spiritualità matrimoniale perché la condizione del matrimonio è condizione che connota in modo radicale la vita di una persona avendo proprie logiche e proprie esigenze anche nelle attuali condizioni culturali, perché il matrimonio è realtà fortemente condizionata dalla cultura: il modo di abitare, la condizione femminile, le modalità in cui si esprime, l’educazione, la concezione del lavoro, le risorse economiche, le strutture sociali, i regimi politici condizionano fortemente il modo di vivere il matrimonio non solo dal punto di vista materiale, ma anche da quello spirituale, perché le due dimensioni, quella materiale-sociale e quella spirituale, non sono due capitoli diversi di una stessa vita, ma costituiscono la vita stessa delle persone.

La spiritualità matrimoniale è l’esperienza cristiana dei due sposi fondata sul sacramento del matrimonio.

«Mediante il Battesimo l’uomo e la donna sono definitivamente inseriti nella nuova ed eterna alleanza, nell’alleanza di Cristo con la Chiesa.[9]»

 

Due battezzati che si sposano si uniscono tra loro in Cristo e diventano segni dell’amore di Dio per gli uomini, di Cristo per la Chiesa; i due sposi non solo simboleggiano l’amore di Cristo per la Chiesa ma lo riproducono e lo rendono veramente presente nel mondo. «Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è avvenuto sulla croce: sono l’uno per l’altro e per i figli testimoni della salvezza» (cfr. FC13). Anche gli sposi allora possono concepire la loro vita come risposta ad una vocazione, consacrata, originata da un sacramento che è permanente come segno e come grazia, animata dallo Spirito Santo in tutti i suoi aspetti, vissuta insieme nella Fede, Speranza e Carità, santificata dalla presenza di Cristo che continuamente arricchisce, purifica e sostiene il loro amore. E sanno di formare con il loro figli una realizzazione in piccolo della chiesa, non autosufficiente certo ma responsabile anch’essa dell’annuncio del Vangelo, della vita di comunione, della crescita del Regno. Nell’ambito del matrimonio cristiano spiritualità coniugale e spiritualità familiare sono aspetti distinti e inseparabili: la spiritualità coniugale si realizza nel rapporto tra uomo e donna ed è caratterizzata dall’amore e dal Sacramento del matrimonio; la spiritualità familiare si riallaccia alla prima ma si estende al rapporto tra genitori e figli definito dalla dimensione affettiva ed arricchito dalle varie età. La spiritualità matrimoniale si manifesta, in questa prospettiva, come il cammino attraverso il quale la vocazione alla santità, comune a tutti i fedeli, si attua nella specifica condizione di vita del matrimonio e della famiglia, (la sessualità, i rapporti con il coniuge e con i figli, il lavoro, l’impegno socio-politico). Ed è una spiritualità di comunione: comunione uomo-donna, comunione fra tutti i membri della famiglia. È necessario parlare di spiritualità matrimoniale fin dall’adolescenza, perché la spiritualità non s’improvvisa. S. Paolo avverte: «L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito [10]». Fin dal suo formarsi, la coppia può e dovrebbe essere orientata verso un’impostazione del proprio rapporto che non tenga conto soltanto dei «bisogni» affettivi e sessuali, delle convenienze e dei sentimenti, immergere tutte queste realtà dentro una logica, secondo un progetto, verso una meta. Dentro la novità radicale costituita da Cristo, possiamo individuare almeno tre dimensioni che la coppia è chiamata a scoprire e a vivere lungo la sua storia, già prima della celebrazione del matrimonio, quando si rende attenta allo Spirito di Gesù e si impegna ad incarnarlo nella propria vita: il dono di sé, la speranza e la fecondità.

Coppia di “Persone”

La coppia umana è principalmente costituita da persone, due individui con una propria personalità, uno degli elementi che costituiscono l’uomo, ed è esattamente il principio supremo delle operazioni umane, il principio a cui tutti gli altri sono subordinati. Il beato Antonio Rosmini suggerisce questo paragone:

Come in un regno vi sono dignitari di diverso livello, ciascuno dei quali può muoversi liberamente finché non riceve comandi da un dignitario di ordine superiore, e tutti devono portare uguale obbedienza ai comandi del sovrano, così è nel caso del microcosmo umano. L’uomo è un regno di mirabile varietà e complessità: un osservatore distratto o superficiale potrebbe essere indotto a ritenere che tale molteplicità sia irriducibile ad una superiore ed unitaria sovranità. Eppure questa sovranità esiste e si concentra appunto nella personalità.[11]

 

Nei suoi numerosi studi di carattere antropologico e psicologico Rosmini svolge una dettagliata ricerca sulle caratteristiche e le proprietà degli esseri umani. Ne esce un quadro ricchissimo di «princìpi della natura umana» (animalità, spiritualità, soggettività) e di «princìpi dell’azione umana» (forze materiali, vitalità, sensitività, istinto, intelligenza, volontà, libertà). La conclusione è che la persona vale comunque più delle sue capacità e delle sue funzioni, anche delle più elevate. Intelligenza, volontà, libertà possono indebolirsi, interrompersi, venir compromesse. La persona, invece, è una permanenza «ontologica»: essa, per usare il lessico rosminiano, è «base», «fondamento», «soggetto», «principio» di intelligenza, volontà, libertà. Questi termini, apparentemente ridondanti, vogliono mettere in chiaro che la persona non è l’individuo «di fatto» libero e responsabile ma è il «soggetto» permanente che sta alla «base» di quelle operazioni, il cui esercizio può anche essere compromesso. Quando si parla quindi di coppia e dei relativi intralci per lo più si affrontano i problemi sociologici, psicologici e politici della famiglia e sembra quasi che vi sia un certo pudore, se non addirittura un certo timore, ad affrontare radicalmente la natura e l’essere della famiglia, ossia a fare della filosofia, dell’antropologia e della teologia della famiglia. Quando si parla di vita di coppia si tende a fare il parallelo con un viaggio; nell’intento di voler descrivere la vita di coppia come un itinerario di crescita, con momenti propizi e intoppi, avanzamenti e fughe, scoperte e delusioni. L’amore, (l’innamoramento) vitale che avvia e tiene in movimento è l’energia che deriva dall’ideale che ci si è disegnato del matrimonio. Si cammina insieme perché e ci si vuol bene e con quel bene tentiamo di realizzare insieme il progetto d’amore. Ma se questo percorso non è impregnato di realtà e cioè di quegli avvenimenti che possono intervenire nel percorso di coppia, se si è incapaci di fondare quell’amore sulla realtà questo percorso rischia di trasformarsi in un incubo e quasi sicuramente in un fallimento. Senza innamoramento non si parte neanche, ma se viviamo l’innamorato (l’altro) con ideali fiabeschi, quando si scontrerà con la realtà, diventerà causa di profonde lacerazioni. Le persone che scelgono di percorrere il percorso di vita insieme devono accettare di vivere una situazione di continua precarietà, ossia avere quella flessibilità al cambiamento che permetta d’inventare modalità relazionali adatte alla novità dell’oggi. Sappiamo, anche per esperienza diretta, che quando una coppia si forma la componente onirica della vita insieme, è sempre presente e di solito, lo è senza che i due lo avvertano. L’immaginario è composto da una serie di immagini, rappresentazioni, riferimenti non solo visivi, ma anche di impressioni, percezioni, sensazioni che appartengono a quel «secondo me» che è il futuro di coppia. Quella vita di coppia «secondo me», contiene i residui della mia storia precedente (che parte dal primo rapporto fondamentale con la propria madre). Durante i primi momenti con l’innamoramento ci sentiamo confusi e forse perdiamo il rapporto con la realtà e il tempo («Ho l’impressione che ciò durerà per sempre, e tu?»), introducendo gli innamorati in un’atmosfera di rapimento, lasciandoli nell’impressione che l’altro/a colmi tutte le attese. L’altro, carichi come siamo di desiderio, diventa lo specchio di se stessi e quindi l’altro diventa una parte di se stessi e, in definitiva, si ama se stessi nell’altro. Dimentichiamo per un po’ che l’altro/a esiste fuori di me. Arriviamo spesso al matrimonio con un carico di aspettative già presenti in noi e pre-esistenti all’esperienza in corso.[12] «Paradossalmente, l’amore è allo stesso tempo egoismo e altruismo. Non sono l’egoismo e l’altruismo che distinguono l’amore dal non-amore, ma il fine. Nel vero amore il fine è sempre la crescita spirituale. Nel non-amore il fine è sempre qualche altra cosa».[13] Un inizio di coppia reale e funzionale, fatto meno di sogni o aspettative richiede la applicazione di forza e sforzi, di maturità e fermezza da parte di entrambi i protagonisti. Delimitare i confini della nuova “zona comune” che si andrà a costruire, e nello stesso tempo stabilire “le regole di ingaggio” in caso di attacco di aggressori e conquistatori del proprio spazio comune, incluso i genitori. Le proprie individualità o anche le differenze e la costruzione comunione/relazione sono i due ingredienti della intimità la quale, unisce ma non fonde, crea sintonia ma rispetta e riconferma le identità. Quando c’è esasperazione di uno o dell’altro di questi due poli, la negoziazione diventa più difficile. Se si perde di vista la differenza si pretende una relazione simbiotica. Se si esagera nella tutela della propria individualità, i confini crescono fra i partners anziché intorno ai partners e nelle negoziazioni vince chi raggiunge il punteggio più alto. Al termine della riflessione nasce spontaneo chiedersi se non è proprio questo il soggetto dell’azione pastorale che potrebbe trasformare una coppia di, confusi e imbambolati, giovani in una coppia immersa nella realtà della propria essenza, matura e pronta a affrontare la nuova vita matrimoniale.

 

Mario Ansaldi

[1] KASPER, 2014

[2] Del Pizzo, 2014

[3] cfr. 1 Pt 2,24; Is 53,5

[4] cfr. cann. 208, 209, 212, 218

[5] cfr. Rm 3,21-30; Sal 129; Lc 11,37-54

[6] cfr. AL, 37

[7] cfr. AL, 303

[8] 1 Cor 13, 4-8

[9] cfr. FC 13

[10] cfr. Cor 2, 14

[11] Rosmini, 1967

[12] Cfr. J. MARRONCLE, Coppie in crisi; perché i contrasti non si trasformino in fallimenti, LDC, Torino 1991, pp. 13-27

[13] P. Magna, Alla ricerca di un rapporto riconciliato uomo-donna e marito e moglie, in «Tredimensioni», 1 (2004), pp. 59-76