Saggistica:

Consueling Pastorale

SCELTE E CRITERI DI OPZIONI ESISTENZIALI

Ridefinizioni di alcuni concetti

Fragilità: spesso viene confusa con negatività, e di conseguenza rifiutata. Si tende a nascondere la propria fragilità a se stessi, perché ci si vergogna, a non accettare quella degli altri, perché crea problemi. A partire da quella dei bambini: “ormai sei grande”. La fragilità è un modo di essere che caratterizza tutti gli esseri viventi, è insita nella struttura di fondo di tutti i sistemi dinamici, se non altro per il loro cambiamento nei processi di crescita o di trasformazione, nel bisogno di adattamento continuo alla realtà, sia interna che esterna. Ne scrive in maniera interessante in L’uomo di vetro, Vittorino Andreoli: «Fragilità» ha la stessa radice di frangere, che significa rompere. La fragilità di un vetro pregiato di Murano o di un cristallo di Boemia: bello, elegante, ma basta poco perché si frantumi e si trasformi in frammenti inservibili. Conoscendone la natura, si deve stare attenti a come lo si usa, a come lo si conserva. «Fragilità» ha la stessa radice di frangere, che significa rompere. La fragilità di un vetro pregiato di Murano o di un cristallo di Boemia: bello, elegante, ma basta poco perché si frantumi e si trasformi in frammenti inservibili. Conoscendone la natura, si deve stare attenti a come lo si usa, a come lo si conserva.

Pedagogia:

Se pedagogia significa un cammino insieme, una guida, un accompagnamento, non si può non tenere conto delle gambe dell’altro. Spesso, osservando i comportamenti di alcuni educatori, viene in mente l’immagine della mamma che andando a far la spesa si trascina dietro il bambino che arranca. L’obiettivo educativo dovrebbe essere un camminare insieme, non raggiungere a tutti i costi un risultato. Cura: Non c’è cura efficace se, al di là della patologia, non si ha presente l’integrità della persona. Bisogna andare al di là sei sintomi, della sofferenza espressa, per cogliere le potenzialità presenti. La stessa fragilità può diventare risorsa. Spesso è difficile perché si è presi dal ruolo. Il ruolo sposta l’attenzione sull’operatività, sull’obiettivo da raggiungere, distogliendola dalla persona. Vale per l’accanimento terapeutico, per il completamento del piano didattico, per la formazione del gruppo dei ministranti.

Counseling pastorale

Una vera e propria diaconia ecclesiale, finalizzata, mediante un dialogo in un contesto di fede, ad aiutare le persone, le famiglie, i gruppi, le comunità a superare i disagi legati alle relazioni personali, familiari o sociali, ad affrontare fragilità e problemi esistenziali che si manifestano difronte a vissuti problematici, lutti, fallimenti, paure, divorzi, problemi educativi, solitudine, dubbi, malattie, problemi finanziari, a individuare strategie possibili nella soluzione dei conflitti, a saper discernere ecc..Si attua individuando i bisogni e le priorità di intervento preventivo, formativo, informativo, educativo, culturale, etico, bioetico, sempre con l’obiettivo di contribuire alla crescita personale e interpersonale, nel superamento delle difficoltà, rivolgendosi alla persona, alla coppia, alla famiglia, ai presbiteri, ai religiosi e religiose, ai seminaristi e novizi a proposito dell’orientamento e dell’accompagnamento vocazionale, soprattutto nei momenti di difficoltà. Ma anche alla Caritas, ai degenti in ospedale, agli ospiti e personale delle case di riposo, ai soci di organismi di volontariato, ai detenuti e alle loro famiglie. In sintesi si caratterizza come una relazione di aiuto che si pone all’interno di una relazione pastorale.

Una relazione pastorale

Come il pastore di pecore si prende cura del suo gregge, così coloro ai quali è stata affidata la responsabilità della conduzione della comunità cristiana si prendono cura di essa. Questa figura compare nel Salmo 23 nel quale Davide si rivolge a Dio definendolo il “buon pastore” che guida il suo gregge col bastone e col vincastro, e cioè con amorevole cura e autorità, come il bastone di Mosè, che fa scaturire l’acqua dalla roccia nel deserto, aprire le acque del Mar Rosso o trasformarsi in serpente e la verga di Aronne. Il segno ritorna nel pastorale liturgico dei vescovi. Sostituito adesso, in alcuni casi, dal crocifisso, e bisognerebbe capire perché. Nel NT questo concetto lo troviamo in 1 Pietro 5,2 “pascete il gregge di Dio che è tra di voi, sorvegliandolo”, con due verbi che definiscono l’opera pastorale: ποιμαίνω e ἐπισκοπέω, e poi nel c. 10 del Vangelo di Giovanni dove Gesù stesso stabilisce il modello della cura pastorale quando Egli si definisce come “il buon pastore (v. 11). In questo testo Giovanni descrive le caratteristiche precise di questa relazione. L’apostolo Paolo ritorna su questi punti negli Atti degli Apostoli. “… perché non mi sono tirato indietro dall’annunziarvi tutto il consiglio di Dio. Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata con il proprio sangue.” (20, 27- ss). Il tema della cura pastorale, (o relazione pastorale) è ripreso in molti testi della letteratura cristiana. Da Tertulliano a Cipriano, Crisostomo, Ambrogio, Agostino, Gregorio Magno col Liber Regulae Pastoralis sulle responsabilità di vescovi e presbiteri, opera che continuerà ad essere per secoli un autentico libro di testo sull’argomento. E ancora Ugo San Vittore, Bonaventura e lo stesso Tommaso d’Aquino. Anche nel mondo protestante il tema è stato molto sviluppato da Lutero a Calvino a Martin Bucer, con un taglio puritano, pietistico, sociale e via dicendo. Il Diritto canonico al can 519 riconduce la cura pastorale sotto la guida del parroco: “Il parroco è il pastore proprio della parrocchia affidatagli, esercitando la cura pastorale di quella comunità sotto l’autorità del Vescovo diocesano, con il quale è chiamato a partecipare al ministero di Cristo, per compiere al servizio della comunità, le funzioni di insegnare, santificare e governare, anche con la collaborazione di altri presbiteri o diaconi e con l’apporto dei fedeli laici, a norma del diritto”.

Una riflessione va fatta su questo canone: le funzioni del parroco, cioè del pastore, sono definite da tre verbi: insegnare, santificare e governare. Perché non pascere? Pascere è il compito che Gesù raccomanda a Pietro in Gv 21, 15 -17!

Una relazione di aiuto

Rogers, la identifica proprio nella funzione del counseling, quando dice che la relazione d’aiuto è una “una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato. L’altro può essere un individuo o un gruppo. In altre parole, una relazione di aiuto potrebbe essere definita come una situazione in cui uno dei partecipanti cerca di favorire in una o ambedue le parti, una valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto ed una maggior possibilità di espressione”. La specificità che la distingue dalle altre relazioni umane è l’aspetto metacognitivo: la necessità, cioè, di vederla questa relazione, di averla sempre sotto gli occhi, di saperci ragionare sopra. In altre parole la capacità di dare vita ad una relazione umana in modo consapevole, controllato ed intenzionale. Nella relazione d’aiuto, più che in ogni altro tipo di relazione, intervengono categorie concettuali come percezione di sé, modificazione della personalità, valutazione degli elementi in vista di una scelta, influenzabilità, consapevolezza delle proprie motivazioni, categorie che in questo tipo di relazione assumono una loro pregnanza.

Counseling pastorale: un legame fra le due relazioni

L’antropologia cristiana muove dall’assunto che la persona sia un’unità indissolubile di anima e corpo. La pastorale, quindi, quale cura dei fedeli, mira allo sviluppo della persona umana nel suo complesso di anima e corpo, nella relazione con Dio e con il prossimo, mira quindi alla realizzazione di uno stato di benessere globale di ogni individuo. Ecco perché, all’interno di una relazione pastorale, si pone l’attenzione a stabilire una relazione di aiuto, comunemente intesa come un intervento di supporto allo sviluppo dell’io, alla comprensione delle proprie motivazioni e predilezioni. alla consapevolezza di sé stesso, all’emancipazione dai condizionamenti che bloccano il suo sviluppo. L’aiuto si orienta alla crescita e all’autonomia dell’altro, nelle sue dimensioni affettive, familiari, sociali, politiche, religiose, culturali avendo come obiettivo un benessere possibile che si determina tra momenti di crisi e di ricostruzione, dinamica di fondo, propria di ogni sistema vivente, benessere al quale i responsabili di comunità, a vario titolo, non possono non prestare attenzione, altrimenti il loro sguardo sulla persona diventa settoriale, perdendo di vista l’unità che la caratterizza. È per contribuire alla costruzione di questo benessere che si instaura una relazione di aiuto, soprattutto quando emerge in maniera esplicita o meno la richiesta, o il problema. Oggi i responsabili della comunità cristiana, a qualunque livello, non possono prescindere da questa dimensione sia se si trovano istituzionalmente coinvolti in una relazione di aiuto sia se di fatto agiscono in tal senso, agendo all’interno delle comunità o gruppi loro affidati. Viene richiesto loro di muoversi, sia pure a diversi livelli, in una dinamica di counseling.

Benessere

Nel rapporto della Commissione Salute dell’Osservatorio Europeo cui partecipa il distaccamento europeo dell’OMS, è stata proposta la seguente definizione di benessere: “quello stato emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale che consente alle persone di raggiungere e mantenere il loro potenziale equilibrio personale nella società”. Il benessere consiste quindi nel migliore equilibrio possibile tra il piano biologico, il piano psichico e il piano sociale dell’individuo, in una condizione di natura dinamica. Se queste premesse sono condivisibili, operare all’interno di una relazione pastorale significa quindi, tra l’altro, operare mettendo in atto una relazione di aiuto per la costruzione umana e spirituale dell’altro, verso un traguardo di gioia vera e autentica.

Il ruolo della fede.

È da considerare, tuttavia, che in alcuni casi gli interlocutori possono seguire una impostazione esistenziale in cui la fede è estranea; questo non significa che il counselor pastorale verrà meno alla aperta dichiarazione della sua appartenenza all’universo valoriale della fede e che i singoli casi non siano confrontati con il Vangelo e considerati alla luce della fede, della maturità umana e spirituale del soggetto, del problema presentato e degli obiettivi perseguiti, nella feconda prospettiva della legge della gradualità. La fede cristiana facilita infatti la percezione e l’interpretazione positiva degli eventi. Entrambe perciò possono essere viste come fattori importanti e circolari di protezione dello sviluppo umano, di accompagnamento nelle scelte di vita, di orientamento nella scelta di uno stile di vita individuale e sociale sulla base di valori e virtù (reciprocità, prossimità, vicinato, solidarietà, coesione, inclusione sociale, felicità, amore, benevolenza, ottimismo, intimità, identità, integrità, gratuità, mitezza, libertà, responsabilità, resilienza, riposo, equilibrio, equità, giustizia, speranza, fede, carità, coraggio, salute, serenità interiore, benessere, sobrietà, parsimonia, ecc) vissuti umanamente e cristianamente e condivisi con le altre persone per affrontare le sfide quotidiane.

Bibliografia

Andreoli V., L’uomo di vetro: la forza della fragilità, Rizzoli, Milano2008.
Canevaro A., Nascere fragili. Processi educativi e pratiche di cura. EDB, Bologna 2015:
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Maslow A. H., Motivazione e personalità, Fabbri, Milano 2007
Mortari L., Filosofia della cura, Cortina, Milano 2015.
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Pititto R., Con l’altro e per l’altro. Una filosofia del dono e della condivisione, Studium, Roma 2016.
Rogers C., La terapia centrata sul cliente, Giunti, Firenze 2013.
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Winnicott D.W., Sviluppo affettivo e ambiente: studi sullo sviluppo affettivo, Armando, Roma 1974.