Catechesi:

Il Lievito nelle Famiglie

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dal Mitis iudex dominus Iesus
al progetto pastorale di una comunità

Istruzione.

Oltre ai Consulenti di primo livello: parroci e altri in ambito, l’Istruzione prevede il nostro Diploma di secondo livello, finalizzato appunto alla formazione di Consulenti di secondo livello: collaboratori di una struttura stabile.  Per questo scopo, oltre ai corsi canonici specifici, sono previsti corsi dedicati allo studio dei principi della Teologia Matrimoniale e Familiare, Teologia Morale familiare, Spiritualità coniugale e Teologia pastorale e corsi dedicati allo studio dei principi della psicologia sessuale e familiare, fondata sull’antropologia cristiana.

Le tematiche hanno sollecitano intensamente l’intimo impegno profuso nella mia missione ministeriale di diacono permanente e quindi ho voluto percorrere un cammino di riflessione sui vari temi legati alla coppia e alla famiglia per sperimentare eventuali progetti pedagogici, di fede, di spiritualità e pedagogici per applicare al meglio l’attenzione e l’impegno che la Chiesa dedica alle famiglie.

Le famiglie e le coppie sono state sempre soggetti della cura pastorale della Chiesa ma nonostante l’impegno profuso, negli ultimi decenni la coppia matrimoniale ha subito sempre di più un processo degenerativo arrivando ad un momento di grande crisi ed instabilità. Un profondo lavoro di ascolto delle famiglie sono stati operati dalla chiesa in questi anni e non ultimi i Sinodi del 2014 e del 2015. Sono stati prodotti esaudienti rapporti che hanno disegnato un quadro preoccupante della situazione.

La famiglia, come ricorda Papa Francesco «è molto più che un “tema”: «è vita, è tessuto quotidiano, è cammino di generazioni che si trasmettono la fede insieme con la fede, insieme con l’amore e con i valori fondamentali, è solidarietà concreta, fatica, pazienza, e anche progetto speranza, futuro»

Il Cardinale Walter Kasper nel documento introduttivo al concistoro straordinario sulla famiglia nel febbraio 2014 scrive: «Dobbiamo però essere onesti e ammettere che tra la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia e le convinzioni vissute di molti cristiani si è creato un abisso.

L’insegnamento della Chiesa appare, anche a molti cristiani, lontano dalla realtà e dalla vita. Però possiamo anche dire – e possiamo dirlo con gioia – che ci sono anche ottime famiglie, che fanno del loro meglio per vivere la fede della Chiesa e che danno testimonianza della bellezza e della gioia della fede vissuta in seno alla famiglia. Spesso sono una minoranza, ma sono una minoranza significativa.» (KASPER, 2014)

La famiglia alla quale si fa riferimento, per essere speranza e futuro della società, non può essere che quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna (famiglia naturale), il che non vuol dire non prestare la necessaria attenzione a tutte le trasformazioni del paradigma familiare che la società postmoderna sta generando, ma, nello stesso tempo, senza perdere di vista che la famiglia naturale è stata elevata a sacramento matrimoniale da Gesù Cristo (DEL PIZZO, 2014)

      Abbiamo il dovere come comunità parrocchiale di avvicinare i divorziati risposati, invitandoli alla piena condivisione dell’eucaristia. Bisogna aiutarli a superare il risentimento interiore e le ferite spesso profonde impresse dalle loro esperienze con la chiesa dopo il divorzio dal primo coniuge e il matrimonio civile contratto con il secondo coniuge.

Bisogna interrogarsi se la esclusione dai sacramenti dei credenti divorziati e risposati, finché il loro primo coniuge è in vita, può essere intesa come il relitto di un rigorismo morale in contraddizione con la pretesa del vangelo di essere un messaggio di liberazione, di servizio alla vita e di consolazione.

Una comunità ha il dovere di occuparsi in maniera attiva della relazione con la famiglia, di rinnovare la relazione, di interpretare con il massimo anticipo i cambiamenti, i conflitti, le dinamiche devianti.

DOVE SIAMO

È sempre affascinante guardare al quel cerchio scuro sulla cartina della metropolitana che ci indica dove siamo, informazione fondamentale perché se mancante non saremmo capace di iniziare nessun cammino.

Guardare a quella informazione fondante in questo elaborato è fondamentale perché permette di valutare ogni percorso, di attrezzare ogni tappa, di concentrarsi sul necessario, di coscienziosamente occuparsi di fare tutto il necessario per raggiungere la meta.

Ci permette di comprendere cosa sia la umanità (noi) nel progetto di Dio. Ci rende capaci di vedere noi stessi e tutti gli esseri umani con gli occhi creatori e ricreatori di Dio, uno sguardo che  «non porta una pace che toglie i problemi di fuori, ma una pace che infonde fiducia dentro »

Papa Francesco in una sua omelia sulla Divina Misericordia: «Gesù risorto appare ai discepoli più volte. Con pazienza consola i loro cuori sfiduciati. Dopo la sua risurrezione, opera così la risurrezione dei discepoli. Ed essi, risollevati da Gesù, cambiano vita. Prima, tante parole e tanti esempi del Signore non erano riusciti a trasformarli. Ora, a Pasqua, succede qualcosa di nuovo. E avviene nel segno della misericordia. Gesù li rialza con la misericordia e loro, misericordiati, diventano misericordiosi. È molto difficile essere misericordioso se uno non si accorge di essere stato misericordiato»

Francesco ci offre un’immagine che ben può chiarire la nostra posizione di fedeli misericordiati, capaci quindi di misericordia, capaci di quell’amore di Dio che non condanna, non umilia ma ha estrema fiducia della sua creatura.

Papa Francesco citando il cardinale Newman spiega come Dio ci ama più di quanto noi amiamo noi stessi.

Insieme alla capacità di amare, come Dio, abbiamo ricevuto la memoria, affinché ci ricordassimo dei beni ricevuti, siamo stati graziati di intelligenza affinché vedessimo e conoscessimo la Sua bontà, partecipando così della sapienza del suo Figlio; ci ha dotato di volontà affinché potessimo amare ciò che la ragione aveva veduto e conosciuto della Sua verità, divenendo partecipe della clemenza dello Spirito Santo.

Quindi diventa essenziale conoscere il nostro “io sono qui” in una società che restringe sempre di più l’orizzonte di senso alle sole realtà materiali, che rinchiude il valore dell’uomo nel successo, nella gratificazione di sè e nell’apparire, capire dove siamo, chi siamo ci riporta all’essenziale, alla creaturalità dell’essere umano; è uno sguardo di fede in Dio, che diventa anche fede nell’uomo, in ogni uomo creatura epicletica ad immagine trinitaria; uno sguardo di fede che porta ad uscire da sè e ad andare incontro ad ogni ‘altro’ che incrociamo nelle nostre giornate.

Concentrati sulla nostra creaturalità consapevoli delle proprie specifiche caratteristiche di fragilità e peccato possiamo essere più attenti al rinnovamento delle relazioni con le famiglie della comunità.

 La visita di Gesù, ormai risorto, ai suoi discepoli ha come scopo il risveglio dei discepoli dal torpore della delusione di un messia mortificato e morto in croce.

Gesù donando lo Spirito Santo dona anche la pace, a noi, sue creature ma soprattutto ci offre a riscatto le Sue “piaghe” quelle che ci guariscono (cfr. 1 Pt 2,24; Is 53,5).

Dal confronto di quelle piaghe con le nostre possiamo capire se la nostra è una fede in “percentuale minoritaria” rispetto alla nostra umanità, che riceve ma non dà, che accoglie il dono ma non riesce a farsi dono.

Come ha detto più volte papa Francesco, solo se siamo coscienti di aver ricevuto misericordia, di essere continuamente bisognosi di misericordia, potremo essere a nostra volta misericordiosi nei confronti di chi incontriamo; sapremo avere quello sguardo buono che solleva; sapremo essere fratelli, sorelle.

DOVE POSSIAMO ANDARE

Il tema di questa piccola ricerca ha come titolo Il Lievito delle Famiglie la mia particolare considerazione delle coppie matrimoniali, delle famiglie con figli e delle famiglie costituite con nonni e nipoti come una risorsa per la chiesa,  per la comunità, la società.

Da solo il lievito non è buono e la farina da sola rimane dura. Ma se il lievito si diffonde tra la farina, ha la capacità di farla gonfiare.

Quindi se ogni famiglia smettesse di guardare solo a se stessa, concentrata unicamente sui propri problemi e sulle proprie necessità, ma si considerasse lievito nella pasta del mondo e si aprisse alle altre famiglie, nel confronto si scoprirebbe meno sola e nella condivisione più ricca.

Gli antichi erano consapevoli che qualcosa in esso era vivo, riproduceva e moltiplicava.

Il lievito non cresce, esso permea e, nonostante la piccola quantità utilizzata, il suo effetto è inevitabile: mescolato alla farina, la fa fermentare tutta.

L’influenza del lievito in una pagnotta non si può percepire subito, bisogna accendere la luce nel forno o mettere l’impasto al caldo e attendere che aumenti di volume, per poi essere cotto e diventare commestibile. Come a dire che l’importante è concentrare l’attenzione non tanto sul risultato finale, ma sul processo di lievitazione.

Insegnare a comprende alle famiglie di essere Lievito li mette cn movimento, ci regala il profumo e la bontà di un cammino vero e bello, che ci mette in discussione come singoli e come famiglia, che non ci fa sentire arrivati, ma ci fa riscoprire chi siamo veramente e a cosa siamo chiamati.

Il lievito opera con discrezione. Una volta mescolato nella farina, non è più visibile, si nasconde nella pasta e silenziosamente la fa lievitare. Il lievito ci insegna l’umiltà.

Si tratta di avere il coraggio di mescolarci, così come fa il lievito con la farina. Riflessioni per orientarsi

PERCHÉ PARTIAMO DAL DIRITTO

Il significato principale della giustizia nella Bibbia discende direttamente dall’Alleanza che Dio vuole a tutti i costi mantenere con l’umanità ed è questa l’aspettativa reale dell’uomo e nel quale la misericordia ha significato.

È la misericordia di Dio che provoca la conversione dell’uomo e lo rende capace di vivere secondo le esigenze epistemologiche della Alleanza ci trasforma da peccatori a giusti non dinamica continuità

Gesù annuncia una nuova alleanza nel nome del Padre che è la più grande promessa di misericordia che si possa fare.

Quando applichiamo il principio della misericordia alla giustizia, non si sta negando la sua verità, ma si offre piuttosto il senso di una sovrabbondanza di amore che rigenera, rinnova, ravviva il patto di Alleanza, che riconcilia gratuitamente la persona e la rende capace vivere in comunione con Dio.

La questione dei fedeli divorziati e risposati e delle loro sofferenze, tema sul quale la Chiesa sta ancora esplorando con concretezza, merita la attenzione del giurista poiché la storia processuale canonica sempre nota per pazienza e saggezza è sempre stata attenta all’esigenze della economia processuale protesa alla tutela della verità e dell’indissolubilità del matrimonio, sia del proprio munus ecclesiale (cfr. cann. 208, 209, 212, 218).

La lettera apostolica Mitis Iudex Dominus Iesus ha provocato inizialmente molte critiche in quanto la promulgazione della riforma ha dato luogo ad una sequela di interpretazioni molto controverse che hanno richiesto prima alcuni interventi del Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi e, successivamente, un nuovo diretto intervento normativo del Pontefice con l’emanazione del Rescritto ex Audenzia del 7 dicembre 2015.

Pertanto ogni cristiano, come difensore naturale della dottrina non debba tanto difendere la “lettera” ma lo spirito, non tanto l’idea dell’uomo ma l’uomo stesso, non le formule ed i rituali ma l’amore espresso nella sua infinita gratuità di Dio e del suo perdono, magnificare che non ci tratta secondo i nostri meriti ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia (cfr. Rm 3,21-30; Sal 129; Lc 11,37-54).

L’intento della lettera è quello di invitarci ad avere una maggiore prossimità verso i fratelli che vivono in difficoltà avendo come guida la legge suprema della «salus animarum» che rimane lo scopo ultimo della dottrina, dei canoni, e delle istituzioni.

Il nostro dovere, Papa Francesco ci ricorda nell’Esortazione Post-sinodale Amoris laetitia, è quello di assumere atteggiamenti di accompagnamento di discernimento e volontà di inclusione della fragilità di quei fedeli che hanno visto demolito il loro matrimonio e che oggi sono davvero tanti.

E per quanto ci riguarda incoraggiare la formazione e la pedagogia delle coscienze (cfr. AL, 37) proponendosi un percorso spirituale di maggiore fiducia nella grazia (cfr. AL, 303)

Per fare questo ogni comunità è invitata a compiere un avventuroso cammino di conversione di tutta la propria pastorale, delle modalità di prossimità e di annuncio del Vangelo.

L’amore di dio nella coppia matrimoniale

La prima volta dove l’amore di Dio viene rivelato è nel libro della Genesi, nelle fasi finali della creazione dove Dio in maniera benevola, magnanima, senza interesse, senza compiacersi, con amorevole orgoglio di padre, genera la coppia umana a sua somiglianza ed anche quando questa coppia cade nel peccato nell’offesa non manca di rispetto.

Nell’inno alla carità di 1Cor 13, troviamo questa descrizione di un amore che è il fondamento di quella straordinaria forza che unisce un maschio ed una femmina a tutte le latitudini e in tutte culture. «La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine.»(1 Cor 13, 4-8)

Un segno visibile che porta l’immagine della realtà invisibile del Dio creatore. L’umanità avrebbe atteso millenni per poter avere di nuovo un segno visibile dell’amore. Dio Padre offre il Suo unico Figlio come sacrificio per amore delle sue creature. Una dinamica di trasformazione, di miglioramento che mancanza della quale non potremmo chiamarla amore.

L’universo emotivo umano non è preciso come quello matematico. Gli esseri umani sono caratterizzati da ambiguità, contraddizioni e imprecisioni. Non è raro provare sentimenti che confondiamo con l’amore, sebbene siano molto diversi.

L’amore racchiude in sè diverse sfaccettature emotive che possono sfociare in un secondo momento in sensazioni di disamore e perfino di odio. Nessuno ama un’altra persona in ogni suo aspetto. In realtà, ciò che ci lega agli altri è spesso una sorta di affetto primordiale.

Capita di convincersi di provare amore verso un’altra persona, quando in realtà non è davvero così. Succede perché ci sono diversi sentimenti che confondiamo con l’amore.

Sentimenti simili, sì, ma con radici ben diverse. La gratitudine può essere facilmente confusa con l’amore, tutto ciò produce in noi gratitudine nel desiderio di corrispondere l’affetto.

Possiamo dire che l’innamoramento è una combinazione di tantissimi fattori, così tanti che sembra un mistero.

Solo l’amore di Dio è il comune denominatore di una azione che è quello di amare.

La coppia umana quindi può essere considerata una realtà che contiene il “germoplasma” dell’amore azione di Dio eredità inestimabile al pari della Eucaristia, il “cibo umile” con cui il Signore imprime nel nostro cuore la certezza di essere amati, memoriale vivo e non astratto del Suo amore, ed è il sacramento che iscrive nel nostro “DNA spirituale”, l’aspirazione all’unità.

Nella coppia il materiale ereditario trasmesso all’umanità mediante le cellule germinali in grado di permettere di preservare in modo diretto a livello genetico e di specie l’amore di Dio va protetto ed evocato, collocato nel alveo di una

Amare come Gesù

È l’amore di Dio che dà vitalità alla nostra vita. senza l’amore di Dio donato incessantemente in Cristo Gesù nello Spirito Santo, l’uomo sarebbe spento e il suo vivere sarebbe un senso senza un significato. Gesù ha insegnato ad amare come Egli ha amato e non ha esitato a chiedere di essere «seguito», «amato» più d’ogni altra persona, anche a costo di spezzare i legami più sacri (cfr. Lc 14,26).

Anche prima di Cristo l’amare Dio e l’amare il prossimo erano considerati due comandamenti legati nel senso che amando gli altri che noi amiamo Dio.

Gesù stesso vuole che noi impariamo a riconoscerlo anche nel volto del fratello più povero, perfino nel volto del nemico. E da questa visione che, l’altro nella coppia, deve diventare per l’altro una «via a Dio»: deve in qualche modo svelargli il volto di Dio.

Gesù aggiunge un’altra e più fondamentale relazione: l ’amore si di Dio si estende direttamente con la strettissima vicinanza all’uomo a Lui che ci ha «amato per primo» e «fino alla fine», a Lui che è risorto, che vive, che è eucaristia.

Quando un essere umano entra consapevolmente e coscientemente in questa relazione, e quando riesce a vivere questo rapporto in maniera approfondita e vissuta, come appartenenza totale: «non io vivo, ma Lui vive in me»), allora accade  una straordinaria trasformazione: Gesù diventa mediatore ed è Lui che rivela all’uomo l’altro da noi , il prossimo, il/la compagno/a di vita.

Cristo ci presenta l’altro donandosi la certezza che lui/lei è degno di un legame indissolubile, nonostante la sua povertà, nonostante le sue fragilità, nonostante il suo peccato,  diviene degno di devozione e di infinito rispetto.

Solo riconoscendo questa relazione mediata di Cristo  l’altro da me non sarà mai né sfruttato, né totalmente posseduto; invitandoci a custodirlo in una singolare individualità non in una fusione.

In Cristo mi dono all’altro attraverso una rivelazione e attraverso una continua redenzione a Lui, Gesù figlio di Dio, che personalmente ama. Gli sposi che si amano, che si scelgono e si offrono reciprocamente la vita, sanno ormai nella irripetibilità e unicità delle loro persone – che Dio è l’Amore e che il loro singolo cuore tende irresistibilmente verso di Lui ed è in questa verità che essi stessi diventano «sacramento»

Spiritualità

La spiritualità cristiana, che si vuole applicare agli sposi, è connotata dall’attenzione e dall’adesione a Cristo. Mi riferisco alla spiritualità neotestamentaria che fin dalle origini, ha definito spirituale sempre l’azione dello Spirito Santo nell’uomo.  La spiritualità non va confusa con gli innumerevoli, ammirevoli e generosi sforzi di cui l’umanità ha sempre dato testimonianza, per trascendere il dato materiale, e sviluppare le potenzialità dello spirito umana per la realizzazione di una fratellanza universale, e interventi a favore di chi soffre, o  quando si valorizzano le facoltà superiori delle persone e dei popoli, mediante l’arte, la musica, la cultura in genere.

La spiritualità cristiana ha alcune caratteristiche peculiari e proprie, che consentono di non confonderla con questo pur meraviglioso e diffuso impegno.

       La spiritualità cristiana è vita secondo lo Spirito, è spiritualità di risposta e non di iniziativa: non è l’uomo che si sforza di andare a Dio, ma è Dio che si piega sull’uomo mettendogli a disposizione lo Spirito di Cristo: «O voi tutti assetati venite all’acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte. » (cfr. Is 55,1), dice il Signore.

   Tutti possiamo essere santi: in Cristo, Dio ha preso l’iniziativa di colmare l’abisso di divisione tra Lui e l’uomo e di mettersi alla nostra portata.

Il cristiano non deve fare sforzi e non deve inventare la propria spiritualità, nella Bibbia, che narra una storia, incarnata prima in un popolo e poi, nella pienezza dei tempi, in una persona: Gesù.

È una storia d’amore che insegna quali siano le strade e le dinamiche attraverso le quali porre la propria vita in relazione con il trascendente: sono le strade dell’ascolto e della risposta alla chiamata.

Allora il cristiano che vuole vivere secondo un disegno spirituale, si pone in ascolto e allo studio della Parola, per essere in grado di interpretarne le logiche, al di là della veste culturale attraverso la quale giunge a lui da secoli: in questo modo eviterà le applicazioni ingenue e affrettate, le letture riduttive o fondamentaliste, saprà trarre da essa le linee basilari del proprio impegno e le logiche sulle quali impostare la propria vita.

 La Parola di Dio non giunge al cristiano solo attraverso le parole scritte nella Bibbia, ma anche, e in modo conseguente e privilegiato, attraverso la vita di Gesù di Nazareth, che è insieme figlio di Dio e figlio dell’uomo: questa sorprendente incarnazione rende estremamente più vicino Dio all’uomo ma anche più comprensibile, più attuabile la Parola.

In Cristo, Dio rivela se stesso all’uomo e l’uomo a se stesso: da Cristo si può desumere la pienezza della sapienza e della spiritualità umana.

       Ma Cristo non è un personaggio storico del passato, da venerare e da ricordare, è una presenza attuale e efficace nella chiesa, la comunità raccolta nel suo nome e resa viva dal suo Spirito.

La spiritualità cristiana è quindi biblica, perché si ispira alla Parola e si nutre di essa, cristologica, perché non si accontenta della Parola scritta, ma fa riferimento alla Parola vivente, al Verbo che «si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi» (cfr. Gv 1), ecclesiale, perché lo Spirito presente nella Chiesa la abilita a compiere gesti che rinnovano, fanno memoria, rendono presente e attuale il sacrificio pasquale di Cristo: i sacramenti.

Come per Cristo, così per ogni cristiano la spiritualità non è evasione: è al contrario compromissione totale con la propria chiamata e con il destino dell’umanità. In questo senso la spiritualità è sempre nuova e sempre creativa, perché chiede di incarnare le logiche che hanno guidato la vita di Cristo nell’attualità, nelle situazioni concrete della vita, secondo le esigenze della cultura, del territorio in cui l’uomo vive.

Possiamo parlare di spiritualità matrimoniale perché la condizione del matrimonio è condizione che connota in modo radicale la vita di una persona avendo proprie logiche e proprie esigenze anche nelle attuali condizioni culturali, perché il matrimonio è realtà fortemente condizionata dalla cultura: il modo di abitare, la condizione femminile, le modalità in cui si esprime,  l’educazione, la concezione del lavoro, le risorse economiche, le strutture sociali, i regimi politici condizionano fortemente il modo di vivere il matrimonio non solo dal punto di vista materiale, ma anche da quello spirituale, perché le due dimensioni, quella materiale-sociale e quella spirituale, non sono due capitoli diversi di una stessa vita, ma costituiscono la vita stessa delle persone.

La spiritualità matrimoniale è l’esperienza cristiana dei due sposi fondata sul sacramento del matrimonio. «Mediante il Battesimo l’uomo e la donna sono definitivamente inseriti nella nuova ed eterna alleanza, nell’alleanza di Cristo con la Chiesa» (cfr. FC 13).

Due battezzati che si sposano si uniscono tra loro in Cristo e diventano segni dell’amore di Dio per gli uomini, di Cristo per la Chiesa; i due sposi non solo simboleggiano l’amore di Cristo per la Chiesa ma lo riproducono e lo rendono veramente presente nel mondo. «Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è avvenuto sulla croce: sono l’uno per l’altro e per i figli testimoni della salvezza» (cfr. FC13).

Anche gli sposi allora possono concepire la loro vita come risposta ad una vocazione, consacrata, originata da un sacramento che è permanente come segno e come grazia, animata dallo Spirito Santo in tutti i suoi aspetti, vissuta insieme nella Fede, Speranza e Carità, santificata dalla presenza di Cristo che continuamente arricchisce, purifica e sostiene il loro amore. E sanno di formare con il loro figli una realizzazione in piccolo della chiesa, non autosufficiente certo ma responsabile anch’essa dell’annuncio del Vangelo, della vita di comunione, della crescita del Regno.

       Nell’ambito del matrimonio cristiano spiritualità coniugale e spiritualità familiare sono aspetti distinti e inseparabili: la spiritualità coniugale si realizza nel rapporto tra uomo e donna ed è caratterizzata dall’amore e dal Sacramento del matrimonio; la spiritualità familiare si riallaccia alla prima ma si estende al rapporto tra genitori e figli definito dalla dimensione affettiva ed arricchito dalle varie età. La spiritualità matrimoniale si manifesta, in questa prospettiva, come il cammino attraverso il quale la vocazione alla santità, comune a tutti i fedeli, si attua nella specifica condizione di vita del matrimonio e della famiglia, (la sessualità, i rapporti con il coniuge e con i figli, il lavoro, l’impegno socio-politico). Ed è una spiritualità di comunione: comunione uomo-donna, comunione fra tutti i membri della famiglia.

    E necessario parlare di spiritualità matrimoniale fin dall’adolescenza, perché la spiritualità non s’improvvisa.  S. Paolo avverte: «L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito (cfr. Cor 2, 14».

Fin dal suo formarsi, la coppia può e dovrebbe essere orientata verso un’impostazione del proprio rapporto che non tenga conto soltanto dei «bisogni» affettivi e sessuali, delle convenienze e dei sentimenti, immergere tutte queste realtà dentro una logica, secondo un progetto, verso una meta.

Dentro la novità radicale costituita da Cristo, possiamo individuare almeno tre dimensioni che la coppia è chiamata a scoprire e a vivere lungo la sua storia, già prima della celebrazione del matrimonio, quando si rende attenta allo Spirito di Gesù e si impegna ad incarnarlo nella propria vita: il dono di sè, la speranza e la fecondità.

Coppia di Persone

La coppia umana è principalmente costituita da persone, due individui con una propria personalità, uno degli elementi che costituiscono l’uomo, ed è esattamente il principio supremo delle operazioni umane, il principio a cui tutti gli altri sono subordinati. Il beato Antonio Rosmini suggerisce questo paragone: «Come in un regno vi sono dignitari di diverso livello, ciascuno dei quali può muoversi liberamente finché non riceve comandi da un dignitario di ordine superiore, e tutti devono portare uguale obbedienza ai comandi del sovrano, così è nel caso del microcosmo umano. L’uomo è un regno di mirabile varietà e complessità: un osservatore distratto o superficiale potrebbe essere indotto a ritenere che tale molteplicità sia irriducibile ad una superiore ed unitaria sovranità. Eppure questa sovranità esiste e si concentra appunto nella personalità. » (ROSMINI, 1967)

Nei suoi numerosi studi di carattere antropologico e psicologico Rosmini svolge una dettagliata ricerca sulle caratteristiche e le proprietà degli esseri umani. Ne esce un quadro ricchissimo di «princìpi della natura umana» (animalità, spiritualità, soggettività) e di «princìpi dell’azione umana» (forze materiali, vitalità, sensitività, istinto, intelligenza, volontà, libertà).

La conclusione è che la persona vale comunque più delle sue capacità e delle sue funzioni, anche delle più elevate. Intelligenza, volontà, libertà possono indebolirsi, interrompersi, venir compromesse.

La persona, invece, è una permanenza «ontologica»: essa, per usare il lessico rosminiano, è «base», «fondamento», «soggetto», «principio» di intelligenza, volontà, libertà. Questi termini, apparentemente ridondanti, vogliono mettere in chiaro che la persona non è l’individuo «di fatto» libero e responsabile ma è il «soggetto» permanente che sta alla «base» di quelle operazioni, il cui esercizio può anche essere compromesso.

Quando si parla quindi di coppia e dei relativi intralci per lo più si affrontano i problemi sociologici, psicologici e politici della famiglia e sembra quasi che vi sia un certo pudore, se non addirittura un certo timore, ad affrontare radicalmente la natura e l’essere della famiglia, ossia a fare della filosofia, dell’antropologia e della teologia della famiglia.

Quando si parla di vita di coppia si tende a fare il parallelo con un viaggio nell’intento di voler descrivere la vita di coppia come un itinerario di crescita, con momenti propizi e intoppi, avanzamenti e fughe, scoperte e delusioni. L’amore, (l’innamoramento) vitale che avvia e tiene in movimento è l’energia che deriva dall’ideale che ci si è disegnato del matrimonio. Si cammina insieme perché e ci si vuol bene e con quel bene tentiamo di realizzare insieme il progetto d’amore.

Ma se questo percorso non è impregnato di realtà e cioè di quegli avvenimenti che possono intervenire nel percorso di coppia, se si è incapaci di fondare quell’amore sulla realtà questo percorso rischia di trasformarsi in un incubo e quasi sicuramenti in un fallimento. Senza innamoramento non si parte neanche, ma se viviamo l’innamorato (l’altro) con ideali fiabeschi, quando si scontrerà con la realtà, diventerà causa di profonde lacerazioni.

Le persone che scelgono di percorrere il percorso di vita insieme devono accettare di vivere una situazione di continua precarietà, ossia avere quella flessibilità al cambiamento che permetta d’inventare modalità relazionali adatte alla novità dell’oggi.

Sappiamo, anche per esperienza diretta, che quando una coppia si forma la componente onirica della vita insieme, è sempre presente e di solito, lo è senza che i due lo avvertano. L’immaginario è composto da una serie di immagini, rappresentazioni, riferimenti non solo visivi, ma anche di impressioni, percezioni, sensazioni che appartengono a quel «secondo me» è il futuro di coppia. Quella vita di coppia «secondo me», contiene i residui della mia storia precedente (che parte dal primo rapporto fondamentale con la propria madre).

Durante i primi momenti con l’innamoramento ci sentiamo confusi e forse perdiamo il rapporto con la realtà e il tempo («Ho l’impressione che ciò durerà per sempre, e tu?»), introducendo gli innamorati in un’atmosfera di rapimento, lasciandoli nell’impressione che l’altro/a colmi tutte le attese. L’altro, carichi come siamo di desiderio, diventa lo specchio di se stessi e quindi l’altro diventa una parte di se stessi e, in definitiva, si ama se stessi nell’altro.  Dimentichiamo per un po’ che l’altro/a esiste fuori di me. Arriviamo spesso al matrimonio con un carico di aspettative già presenti in noi e pre-esistenti all’esperienza in corso .

«Paradossalmente, l’amore è allo stesso tempo egoismo e altruismo. Non sono l’egoismo e l’altruismo che distinguono l’amore dal non-amore, ma il fine. Nel vero amore il fine è sempre la crescita spirituale. Nel non-amore il fine è sempre qualche altra cosa».

Un inizio di coppia reale e funzionale, fatto meno di sogni o aspettative richiede la applicazione di forza e sforzi, di maturità e fermezza da parte di entrambi i protagonisti. Delimitare i confini della nuova “zona comune” che si andrà a costruire, e nello stesso tempo stabilire “le regole di ingaggio” in caso di attacco di aggressori e conquistatori del proprio spazio comune, incluso i genitori.

Le proprie individualità o anche le differenze e la costruzione comunione/relazione sono i due ingredienti della intimità la quale, unisce ma non fonde, crea sintonia ma rispetta e riconferma le identità. Quando c’è esasperazione di uno o dell’altro di questi due poli, la negoziazione diventa più difficile. Se si perde di vista la differenza si pretende una relazione simbiotica. Se si esagera nella tutela della propria individualità, i confini crescono fra i partners anziché intorno ai partners e nelle negoziazioni vince chi raggiunge il punteggio più alto.

Al termine della riflessione nasce spontaneo chiedersi se non è proprio questo il soggetto dell’azione pastorale che potrebbe trasformare una coppia di, confusi e imbambolati, giovani in una coppia immersa nella realtà della propria essenza, matura e pronta a affrontare la nuova vita matrimoniale.

Tappe di un nuovo modello pastorale

Il dono di se:

L’uomo e la donna di oggi, che si trovano a vivere spesso in situazione di estrema solitudine, nell’affollamento della grande città e nella frammentazione dei molti ambiti di lavoro tendono a credere che la situazione di coppia possa garantire comunque la possibilità di salvarsi dalla solitudine.

Spesso ed erroneamente la coppia matrimoniale ritiene che nel matrimonio possa trovare altre e più realistiche dimensioni: non è la coppia che sottrae alla solitudine, ma l’amore, la disponibilità agli altri, la capacità di donarsi e di coinvolgersi, e ciò si può realizzare sia nella coniugalità che nella verginità: questo insegna il vangelo di Cristo, la «buona novella» di cui Egli è stato portatore a prezzo della morte.

Questo richiede agli sposi di realizzare prima di tutto una comunità di fede che deve tendere alla piena comunione dell’amore-carità.

l sentire della comunità ecclesiale si divide tra una teologia statico-deduttiva ed una dinamico-evolutiva.  La Gaudium et Spes dice: «Il presente turbamento degli spiriti e la trasformazione delle condizioni di vita si collegano con un più radicale modificazione, che tende al predominio, nella formazione dello spirito, delle scienze matematiche, naturali e umane, mentre sul piano dell’azione Si affida alla tecnica, originata da quelle scienze.» Questa non trascurabile differenza, ancora molto spesso disattesa, ha profonde ripercussioni nella concezione del sacramento del matrimonio e, quindi, nella visione del rapporto che dovrebbe esistere tra sposi e comunità ecclesiale.

Il dono di sé, che ognuno della coppia dovrebbe vivere, acquista consistenza e possibilità di attuazione quando è vissuto in sintonia con l’autodonazione di Gesù alla volontà del Padre suo che vuole tutti gli uomini salvi (cfr. Gv 17,3): nell’amore che lo unisce al Padre, Gesù realizza pienamente il dono totale di se stesso; egli dà la vita in perfetta obbedienza, dona la sua « carne per la vita del mondo » (Gv 6,51) e comunicandoci lo Spirito Santo, il dono di Dio (cfr. At 11,17), rende a noi possibile il vero amore oblativo (cfr.  Gv 15,12s.).

Si può partire dal fatto elementare del trascendimento di sè, come momento umanamente indispensabile nella crescita della persona. L’apertura dei sensi, la mutevole espressività del volto, il linguaggio dei gesti, la relazionalità della parola dicono la vocazione personale ad uscire da sé (a trascendersi) per la propria più perfetta definizione di uomo.

Nella coppia si può riscontrare un passaggio di grado tra la forma della reciprocità con le sue gratificazioni e le forme dell’obbedienza con le sue esperienze di sacrificio. Un ulteriore passaggio è possibile riscontrare tra questi e la gratuità propria di un’adesione totale al valore, cioè al divino. Gesù ha chiamato i suoi affinché stessero con lui (cfr. Mc 3,14) e fossero educati a quell’estremo trascendimento nonchè a quell’adempimento ultimo della missione (guarire e predicare); designandoli come amici e facendoli discepoli nell’obbedienza alla volontà del Padre; guidandoli alla lode di una gratuità perfetta: “ Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te “ (Mt 11,26).

Nella visione ontologica, il sacramento del matrimonio è identificato con la sua celebrazione ed il ruolo della comunità ecclesiale si limitava all’assistenza degli sposi nel momento del rito e all’accoglienza della testimonianza del loro consenso. Staticamente il matrimonio è fondato sul patto iniziale contratto dagli sposi, la fedeltà tra i due era la capacità di rimanere ancorati a quel consenso espresso in gioventù, ed il criterio etico è il rispetto dell’ordine “naturale”: il fine del matrimonio limitato alla fecondità procreativa, regolata dai “metodi naturali”. Ricevere il sacramento poneva, quasi per magia, la coppia al riparo da ogni possibile crisi futura e nessuna evoluzione del rapporto a due avrebbe potuto migliorare la perfezione iniziale del cammino coniugale.

La coppia, sin dal momento della sua formazione deve vivere l’apertura e l’oblazione di se stessi, di ciò che si è, in atteggiamento costante di piena donazione a cominciare dalla propria volontà, base di ogni possibile dono. L’offerta di sè realizza in modo completo tutte le caratteristiche del dono: questo, per essere tale, dev’essere concreto, senza riserve e restrizioni, disinteressato; chi fa un dono lo compie per pura liberalità, in gratuità, senza esigere alcunchè in cambio perché il contraccambio è l’esatto contrario del dono.

Si attua così la carità, cioè l’effettivo superamento della cupidigia e del calcolo in quanto essa è l’origine prima e l’oggetto ultimo di ogni generosità in una circolarità sempre in crescendo.

LA SPERANZA

Se il cristianesimo è religione di speranza a caratterizzare questa speranza è l’incarnazione morte e resurrezione di Gesù Cristo, che ricapitola in sè la rivelazione di Dio cominciata nel AT allargandola e compiendola, morendo per l’uomo lo salva gli svela cosa può sperare: nella vita che è pienezza, nella comunione totale con un Dio, Persona e Relazione, in una umanità riconciliata nella sua fraternità, in relazione con il vero Dio e vero Uomo icona della speranza cristiana.

Abbiamo visto come l’uomo, creato e redento in Cristo, compia la sua esistenza in un percorso di chiamata alla relazionalità piena e totale.

Proprio queste premesse ci portano a dire che l’orizzonte di speranza ultimo per l’umanità intera e per ogni singolo uomo, così come per tutto ciò che è nell’essere non può essere altro che Dio tutto in tutti, quel Dio che viene per fare «nuove tutte le cose».

Affrontare il tema della speranza portata da Cristo Gesù all’uomo risponde, oltre che ad una sensibilità personale, anche ad una considerazione di opportunità e attualità per il mondo moderno. Già il Concilio Vaticano II aveva visto il mondo di allora come in bilico tra speranza ed angoscia:

«Immersi in così contrastanti condizioni [la profonda trasformazione sociale e culturale, il dominio tecnico sul mondo, le molte ricchezze a disposizione e il perseverare di sacche di povertà], moltissimi nostri contemporanei non sono in grado di identificare realmente i valori perenni e di armonizzarli dovutamente con le scoperte recenti. Per questo sentono il peso della inquietudine, tormentati tra la speranza e l’angoscia, mentre si interrogano sull’attuale andamento del mondo » (GS 4)

Il cammino matrimoniale è segnato da momenti felici e da momenti tristi, da vittorie e da sconfitte, da realizzazioni e fallimenti. Mentre gli aspetti positivi rischiano di passare spesso inosservati, i secondi lasciano qualche volta tracce negative profonde nella storia della coppia, portano l’esperienza bruciante della frustrazione e del fallimento, inducono la tentazione della rottura definitiva.

A tutto questo dà risposta la dimensione della speranza, che è dimensione imprescindibile della spiritualità cristiana.  La coppia matrimoniale deve essere formata per avere la capacità di trasformare gli errori in occasioni di apprendimento e di crescita”.  La crescita, infatti, è il fine dell’apprendimento, e questo in tutti gli aspetti della vita di una persona.

Vivere in un ottimismo che dev’essere accompagnato dalle buone maniere, dalla gratitudine, che è un modo di riconoscere nell’altro il bene che la sua presenza e l’amore ci danno; dalla capacità di perdonare e di chiedere perdono; dal saperci fragili e dipendenti dall’altro, e dunque bisognosi del favore e dell’assistenza dell’altro. Sono pegni della fedeltà coniugale e difesa dalle inevitabili vicissitudini della vita.

E il futuro, che ci sfida con le sue incertezze, nel contempo ci incoraggia con la speranza che tutto, nel nostro procedere terreno, ha come fine la felicità piena nel Cielo, con la certezza la via per arrivare in cielo si chiama… con il nome della moglie o, per lei, con quello del marito.

Guardare il passato con animo grato, il presente con determinazione e il futuro con speranza aiuta a vivere la donazione con pienezza, ad accettare con gioia il tempo che trascorre nella vita coniugale, perché è segno che l’amore è cresciuto in modo armonico: ha reso possibile la trasformazione, la maturazione e la donazione dei coniugi; e questi hanno cercato di trasmettere ai figli che in realtà non hanno tanto bisogno di regali quanto di affetto.

LA FECONDITÀ

Dio ha creato Adamo a sua immagine, ad immagine di quel figlio unico Cristo che esaurirà da solo la fecondità divina ed eterna. Per realizzare questo mistero, l‘uomo, trasmettendo la vita, comunica nel corso del tempo la propria immagine, sopravvivendo cosi nelle generazioni per giungere alla fecondità un segno della benedizione divina: i bambini sono « la corona degli anziani » (Prov 17, 6), i figli sono « rampolli di olivi attorno alla mensa » (Sol 128, 3).

Sulla croce Cristo, il figlio morente, dona una nuova fecondità a sua madre, affidandole il discepolo Giovanni e rendendola madre del popolo dei credenti.

Nei sacri testi troviamo molti riferimenti anche alla cura che si deve verso i bambini che sono considerati essere incompiuti e sottolineano l’importanza di una ferma educazione: «La stoltezza è legata al cuore del fanciullo, » (Prov 22, 15), « … fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all’errore. » (Ef 4, 14, « Così anche noi, quando eravamo fanciulli, eravamo schiavi degli elementi del mondo » (Gal 4, 4 ss).

Di fronte a queste constatazioni sono tanto più notevoli le affermazioni bibliche sulla dignità religiosa del bambino. La fecondità come cura della prole e carità verso l’altro è elemento particolarmente delicato nella vita della coppia. Non si tratta evidentemente della sola fertilità, ma di tutti gli aspetti della fecondità che nascono nell’amore di due persone.

La fecondità che si esprime anche e soprattutto nell’educazione, nella cura dei piccoli e di tutti gli indifesi, che supera le leggi della carne e del sangue e si rende disponibile ad accogliere come propri i bambini che non hanno famiglia.

Fecondità che è testimonianza, personale e sociale, che la vita matrimoniale può essere vissuta secondo logiche e direttive diverse da quelle proprie del consumismo, e che in questa testimonianza si fa missionaria.

       Questo richiede un’educazione continua, fin dall’adolescenza, ai valori umani e morali, specialmente per l’esperienza dell’amore sessuale e coniugale, oggi particolarmente ambigua e difficile. È educazione ai significati della sessualità, cioè educazione dell’istinto e dei sentimenti, è educazione a sposarsi ma è anche educazione alla castità.

CONCLUSIONE

In conclusione di questo elaborato di sintesi dei temi trattati nel Corso per il conseguimento del Diploma accademico per consulenti matrimoniali e familiari di II livello posso proporre una personalissima visione circa l’inserimento nella pastorale di una comunità di elementi che possano mostrarsi utili a costruire insieme al pastore della chiesa particolare un   percorso di pastorale delle famiglie sviluppato in due grandi canali: pedagogico – formativo e mistagogico

PEDAGOGIA

La famiglia risorsa: in un contesto sociale sempre più articolato e complesso, la famiglia è chiamata ad affrontare nuove sfide educative. Poiché l’educazione è un diritto della famiglia, l’educazione da essa impartita è la realtà che rivela il funzionamento domestico in rapporto all’educazione.

Nella famiglia, infatti, i vincoli dell’amore e della consanguineità assumono preminente importanza; e proprio perché essa si fonda sull’amore, si delinea come la più idonea ad assicurare ai membri che la compongono l’armonica promozione di un integrale sviluppo: da un lato tramanda tutto un tesoro d’esperienze passate, dall’altro amplifica, proiettando questo stesso tesoro nell’avvenire, progetti, speranze, aspirazioni.

La famiglia, dunque, costituisce un’esperienza quanto mai significativa e fondamentale nella vita dell’uomo e si sostanzia per l’amore vicendevole, la dedizione, il sacrificio, il dono supremo da parte dei suoi componenti, in un fluire incessante di giorni, di vita, di generazioni.

Vissuta in Cristo la coppia coniugale ripete il “mistero”, realtà incommensurabile della incarnazione morte e resurrezione di Gesù: nel suo modello «pericoretico-comunionale», proprio di (KUHN, 2009), secondo il quale l’unità delle persone sta nel loro reciproco inabitarsi e amarsi, l’ unione di due persone ha cose da insegnarci indipendentemente dalla nostra insistenza nell’investigarla e nel ricercarla; è una realtà esigente e dispensatrice di valori, anteriore e superiore all’uomo ed è sacra, fonte di vita spirituale, atta ad orientare l’uomo verso la totalità dell’essere: in questa prospettiva è infatti superabile la posizione naturale, secondo cui l’uomo dipende da sé ed appartiene soltanto a sé, e si rende possibile l’apertura ad un principio creatore al quale il suo essere è proteso al Regno di Dio già qui e non ancora.

Quali temi e quali valori

  • Valori d’intimità. In virtù di essi, i membri della famiglia pongono a reciproca disposizione doti, qualità, ricchezza interiore. Ciascuno ha presenti le esigenze dell’altro, veduto come centro d’unità ed irradiazione di libertà come “sorgente d’attività, principio di dialogo;
  • Capacità di donazione: Nella famiglia, l’intimità assume aspetti caratteristici di presenza e di comunione, che impegnano lpersona nella donazione di sè all’altro. Essa diventa identificazione d’interessi, di preoccupazioni, di speranze, di prospettive, i cui accenti si differenziano secondo che tali situazioni interessano o i coniugio i loro rapporti con i figli. Comprende altresì, nel più stretto ambito coniugale, scambio di tenerezze, mutua confidenza, impegno, fedeltà.
  • Valori di fecondità. I valori d’intimità sono strettamente congiunti con quelli di fecondità. “ln questa connessione risiede il più commovente mistero. Nell’intimità e per mezzo di essa gli sposi si uniscono alla potenza creatrice di Dio. La prole costituisce per essi l’oggettivazione del loro amore, la realtà vivente della loro intimità, la testimonianza esplicita del loro progetto di vita in Cristo. La fecondità che non si limita al puro atto generativo perché (come detto altrove) investe anche la formazione della persona, cioè l’attività educativa. Attraverso l’educazione, infatti, i genitori trasmettono nella prole i propri atteggiamenti, i propri valori, le proprie convinzioni e concorrono a delineare la fisionomia morale e spirituale dei figli, quella che resterà impronta indelebile per tutta la loro esistenza. Apre la coppia alla custodia dei più deboli, dei poveri degli emarginati.
  • Valori spirituali. La famiglia costituisce il terreno fecondo d’esperienze spirituali.

MISTAGOGIA

La dimensione trinitaria della Coppia: sperimentare l’amore coniugale e verificarne la bellezza, attraverso una conoscenza approfondita della dinamica trinitaria (per i due unificante nella distinzione) della pericoresi delle divine persone. Imitando, attraverso la contemplazione della Santa Trinità,  la vita o il vivere che si connota anche come un “essere-sempre-per “, “essere-sempre-in riferimento all’altro” (correlatività), essere-sempre-con e nell’Altro (pericoresi).

Prepararsi ad accogliere il Vangelo di una vita matrimoniale come vita di comunione perfetta dei Tre che la possiedono; una vita che, pur nella sua trascendenza, si manifesta in tutti gli atti liberi compiuti dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito nella storia: la creazione, l’alleanza, l’incarnazione del Figlio, gli eventi pasquali.

Lasciarsi contagiare da questa vita che dà origine a nuovi viventi, indirizza tutto e tutti alla vita.

La dimensione del Corpo: l’uomo creato a immagine è somiglianza di Dio Trinità, Dio delle relazioni, nella sfera relazionale e affettiva è la dimensione fondamentale della vita di ciascun uomo. I giovani fidanzati sono in quei anni di vita in cui tutto viene scoperto. Il tempo per affrontare con coraggio e profondità il tema dell’affettività/sessualità ed insieme quello dell’amicizia. Questi argomenti richiedono una “chiarezza morale senza cedimenti alle mode e al plauso del mondo, ma che allo stesso tempo richiedono di far riscoprire,  attraverso la Parola di Dio: la bellezza dell’eros, della positività del piacere, del fascino del corpo, della positiva follia della passione così come la rivelazione cristiana ce li presenta senza moralismi.

Insistere sul concetto di corpo umano come tempio dello Spirito Santo, chiamato alla Risurrezione; i gesti dell’intimità sono come una liturgia della coppia dove l’unione degli sposi è il segno della sua nobiltà da cui sgorga poi la potenzialità generativa; la vera passione erotica purificata dall’egoismo è segno dell’amore folle di Dio che si incarna”

La vocazione al vincolo matrimoniale: in un’avventura terrena con un Dio che lascia agli individui il libero arbitrio ma li invita alla perfezione, bisogna tenere conto della chiamata e della vocazioni di ognuno. La vita è un grande dono che il Signore ci fa per arrivare a realizzare noi stessi.

Siamo stati da Lui creati e ci conosce per nome, chi meglio del Signore sa come farci realizzare nella nostra pienezza.

 La coppia matrimoniale sia formata per vedere nella vocazione al matrimonio il progetto che Dio ha pensato perché ognuno di noi arrivasse alla sua pienezza. Nella mistagogia della relazione non il Dio trinitario, nel rapporto dei nubendi con Dio essi possono scoprirla perché in gran parte dipende da Lui che ce la rivela, prima di tutto con la chiamata, che è Sua iniziativa, poi dotandoci di quelle caratteristiche e  qualità per realizzare la missione specifica che ci affida, la vita matrimoniale come coniugi. La vocazione si manifesta spesso attraverso dei segni che è importante saper ascoltare e interpretare, mettendosi in ascolto del Signore.

Agli sposi resta solo la risposta, che dipende totalmente dalla nostra libertà e generosità.

IL POSTO DI DIO NEL NOSTRO PROGETTO DI VITA.

Come abbiamo già letto, la vita matrimoniale come viaggio è stata più volte usata come paragone alla vita di coppia nel matrimonio una traversata nel mare della vita.

«In quel tempo, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.» (MC 4, 35-36)

La coppia porta con sé Gesù, come compagno di viaggio indica che Gesù devono prenderlo come Maestro così come si presenta, nella sua debolezza e nella sua umanità. Un uomo che alla fine della giornata di predicazione è stanco e affaticato a tal punto che cerca sulla barca un cuscino su cui addormentarsi in disparte.

«Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?»

Il mare è simbolo dell’abisso, dell’instabilità, dell’immenso smarrimento, un’immagine in cui tutta la vita del suo insieme ha l’aspetto del caos le cui fauci possono spalancarsi in ogni momento sotto i nostri piedi. E’ il mare che aspetta la coppia matrimoniale nella vita e che , da soli, non potranno mai evitare.

Come salvarsi è il vero problema che l’uomo deve affrontare in tutta la sua vita, ma tutto quanto l’uomo fa e pensa è un tentativo inutile in partenza. Anzi è proprio questo tentativo di salvarsi, che ci rende egoisti e causa di tutti gli altri mali e anche della sua morte.

«Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».

Lo svegliarono ma in realtà è la nostra fede che dorme. L’oscurità della notte prova se la coppia ha costruito il proprio matrimonio in Cristo sulla fede, se questa parola, nascosta nelle tante parabole, l’abbiamo capita. Nella vita, dice Origene, fino alla fine dei tempi, sempre gli uomini si ritrovano a contestare a Dio il suo governo sul mondo.

«E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Chi è dunque costui: E’ la domanda di tutto il vangelo.  Chi sa rispondere con convinzione a questa domanda supera anche il timore di soccombere nel cammino della vita, perché sa che il suo Signore è con lui. A questi Gesù rivela i misteri del regno di Dio che sono costituiti da tutto ciò che Gesù, il Signore, compie a favore dell’uomo. Chi ubbidisce a Lui diventa figlio ed entra nel suo mistero e trova risposta a questa domanda fondamentale del vangelo. Il discepolo è colui che, dopo aver ascoltato la Parola, si affida a Gesù che dorme, e sulla parola del Signore accetta di andare a fondo (morire con Cristo) nella speranza– certezza di emergere con lui a vita nuova (risorgere con Cristo). 2Tm 2,11 «Certa è questa parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui». L’alternativa a questa proposta di Cristo non è stare a galla, ma andare a fondo senza di lui.

diacono Mario Ansaldi